I numeri parlano chiaro: sono oltre 1300 le tonnellate di plastica – il 46% su un totale di 2880 – che da gennaio a settembre 2019 sono state spedite illegalmente in Malesia. 43 spedizioni su 65 sono state inviate ad aziende sprovviste dei requisiti necessari per importare e riciclare rifiuti stranieri.
Il risultato? Un business milionario e danni incalcolabili all’ambiente.
L’Italia è al secondo posto nella classifica di Paesi in Europa per domanda di plastica con 7 tonnellate all’anno, di cui il 40% rappresentato da imballaggi. Non tutta la plastica viene riciclata e una parte di scarti viene spedita all’estero: le normative dell’Unione Europea prevedono che si possa spedire – in paesi Extra UE – esclusivamente plastica adatta per il riciclo e il recupero, non allo smaltimento. Gli emendamenti alla Convenzione di Basilea, approvati (quasi) all’unanimità dalle Nazioni Unite, prevedono restrizioni sull’esportazione di rifiuti plastici non riciclabili in Paesi in via di sviluppo ma saranno effettivi solo a partire da gennaio del 2021.
Dopo il no di Pechino all’importazione di rifiuti in plastica – entrato in vigore nel 2018 – tra le “destinazioni preferite” ci sono Turchia e Malesia. Zuraida Kamaruddin, Ministra malese dell’Edilizia urbana e del Governo locale, conferma che il Paese permette solo l’importazione di plastica pulita e contaminata, ma il business della plastica è così redditizio che molte aziende, allettate da facili guadagni, agiscono illegalmente con conseguenze disastrose su ambiente e salute.
Grazie a telecamere nascoste l’unità investigativa di Greenpeace ha trasformato questi numeri – già allarmanti di per sé – in immagini inequivocabili: imprenditori malesi privi di licenza e siti di stoccaggio illegale di rifiuti plastici stranieri. Di questi solo una piccola parte – circa il 20/30% – si può riciclare, mentre il resto è irrecuperabile con effetti devastanti: dall’analisi di campioni di acqua, suolo e frammenti di plastica prelevati da alcune di queste discariche sono emerse alte concentrazioni di metalli pesanti e composti chimici cancerogeni. Non solo, secondo il primario del Metro Hospital della città malese di Sungai Petani, i pazienti con asma e problemi respiratori sono aumentati del 20/30% rispetto allo scorso anno.
Attualmente la Malesia non ha una legge per impedire l’arrivo di questi rifiuti, gli impianti legali autorizzati dal governo malese sono 68, le discariche illegali chiuse lo scorso anno 140 e 150 i container restituiti a 13 Paesi, tra cui Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Canada. E l’Italia? Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, solo il 2% dei container spediti dal nostro Paese viene regolarmente ispezionato e la mancanza di controlli non fa che alimentare il traffico illegale.
Com’è possibile che il nostro Paese non sia in grado di riciclare e smaltire i propri rifiuti e debba spedirli all’estero? Quali sono le azioni da intraprendere – come singoli e collettività – per agire alla radice del problema?
Fonti:
Comments